Mario Ceroli (Castel Frentano, 1938) è uno degli artisti italiani che più hanno contribuito a ridefinire la scultura contemporanea nel rapporto tra figura, spazio e collettività. Fin dagli anni Sessanta, sviluppa un linguaggio basato su sagome in legno grezzo, spesso a grandezza naturale, che reinterpretano in chiave simbolica le forme della vita quotidiana e della cultura di massa.
La sua ricerca nasce in un clima di rinnovamento, vicino alla Nuova Figurazione e al Pop italiano, ma si distingue per l’uso di materiali poveri e per una riflessione sull’identità dell’uomo nel mondo moderno. Le sue figure — ritagliate, seriali, sovrapposte — evocano presenze umane e archetipi collettivi: l’uomo, la donna, la folla, l’artista. Ceroli mette in scena una umanità ridotta a silhouette, ma non priva di vitalità poetica.
Negli anni Settanta e Ottanta, il suo lavoro si amplia in direzione ambientale e teatrale. L’artista collabora con registi e scenografi, portando il suo linguaggio essenziale in spazi scenici e installazioni monumentali. L’opera di Ceroli si trasforma così in architettura simbolica, in cui la scultura diventa esperienza spaziale.
Pur nella semplicità dei mezzi, la sua poetica indaga temi universali: la memoria, la presenza, il tempo. Il legno, materiale vivo e organico, conserva tracce di un contatto umano diretto, come se ogni sagoma fosse un frammento di memoria collettiva.
Nel suo lavoro convivono artigianato e concettualità, tradizione e modernità. Ceroli rinnova il linguaggio della scultura italiana restituendole una dimensione civile e narrativa, in cui la figura umana torna protagonista, non come rappresentazione realistica, ma come simbolo universale dell’esistenza.