Salvo (Salvatore Mangione; Leonforte, 1947 – Torino, 2015) è una delle figure più affascinanti e poliedriche dell’arte italiana contemporanea. La sua ricerca attraversa, con straordinaria coerenza concettuale, linguaggi differenti: dall’arte concettuale al ritorno alla pittura, mantenendo sempre al centro il tema dell’identità e della memoria.
Negli anni Settanta, dopo un periodo di vicinanza all’Arte Povera e ai linguaggi concettuali, Salvo realizza opere ironiche e autoriflessive: iscrizioni su marmo, falsi epitaffi, fotografie e testi che mettono in scena l’artista come figura mitica e ironica insieme. La scrittura diventa immagine, e l’arte si trasforma in riflessione sul suo stesso statuto.
Questa fase, concettuale ma giocosa, è seguita da un ritorno radicale alla pittura, intesa non come regressione ma come scelta teorica e poetica.
A partire dagli anni Ottanta, Salvo sviluppa un linguaggio pittorico personale, caratterizzato da colori accesi e strutture semplificate, in cui raffigura paesaggi, città e vedute ideali. I suoi quadri evocano la grande tradizione italiana — da Giotto a De Chirico — ma la reinterpretano attraverso un filtro di astrazione e memoria.
La luce, spesso innaturale, costruisce atmosfere sospese e metafisiche: ogni paesaggio diventa luogo mentale, immagine della memoria più che rappresentazione del reale.
In tutta la sua opera, Salvo unisce ironia e nostalgia, linguaggio e visione, concetto e pittura. La sua riflessione sull’identità — dell’artista, della storia, della cultura — trasforma ogni immagine in un atto di autoaffermazione e di dubbio.
Con uno stile che fonde classicità e contemporaneità, Salvo ha restituito alla pittura italiana una dimensione intellettuale e lirica, capace di unire pensiero e immaginazione.