Valerio Adami (Bologna, 1935) è una delle personalità più riconoscibili della pittura figurativa europea del secondo Novecento. La sua opera si fonda su una ricerca coerente che, a partire dagli anni Sessanta, elabora un linguaggio pittorico rigoroso, dominato da linee di contorno marcate e superfici cromatiche uniformi, in cui la figura è sempre veicolo di riflessione intellettuale.
Dopo una prima fase di sperimentazione astratta e informale, Adami trova nel segno grafico la chiave per un linguaggio personale, in bilico tra Pop Art e allegoria classica. Le sue immagini, caratterizzate da contorni neri netti e campiture di colore brillante, rivelano una tensione costante tra rappresentazione e simbolo. Le figure, spesso isolate in ambienti geometrici, si caricano di significati culturali e letterari: il corpo, l’oggetto e l’architettura diventano elementi di un racconto colto e allusivo.
Negli anni Settanta e Ottanta, Adami sviluppa una pittura che intreccia riferimenti alla storia dell’arte, alla filosofia e alla politica, costruendo una “mitologia personale” dove la dimensione autobiografica e quella culturale coincidono. La struttura grafica, sempre più raffinata, trasforma ogni composizione in una narrazione per immagini, in cui la linea si fa linguaggio e la forma diventa pensiero.
La sua poetica può essere letta come una riflessione sull’identità dell’uomo contemporaneo, sul rapporto tra memoria, esperienza e rappresentazione. Il colore, puro e saturo, agisce come campo emotivo, mentre la linea, precisa e chiusa, stabilisce una distanza critica, come se l’artista volesse trattenere l’immagine sul limite tra presenza e idea.
La pittura di Adami non è mai mera decorazione: è una costruzione mentale, una scrittura della visione che dialoga costantemente con la filosofia del linguaggio e con la tradizione della pittura europea.