Toti Scialoja (Roma, 1914 – 1998) è stato una figura centrale dell’Informale italiano, ma anche poeta e teorico, capace di fare del gesto pittorico una forma di scrittura interiore. La sua ricerca, sviluppata a partire dagli anni Cinquanta, unisce libertà gestuale e rigore compositivo, trasformando la superficie in campo di memoria e ritmo.
Le sue prime opere sono caratterizzate da una pittura materica e drammatica, vicina a quella di Fautrier e Dubuffet, ma ben presto Scialoja elabora un linguaggio più personale, basato su tracce, impronte e colature. L’artista “imprime” il colore sulla tela con oggetti e strumenti non convenzionali, ottenendo segni ripetitivi e cadenze visive che ricordano la scrittura automatica.
Negli anni Sessanta e Settanta la sua pittura diventa sempre più rarefatta, dominata da campiture ampie e gesti sospesi, come se l’immagine fosse residuo di un’azione già avvenuta. Il tempo del gesto e quello della visione coincidono: la pittura diventa testimonianza di un accadere.
Parallelamente, Scialoja scrive poesia, stabilendo un dialogo continuo tra parola e immagine. In entrambi i campi ricerca un linguaggio essenziale, fatto di ritmo, silenzio e risonanza.
La sua opera è profondamente etica e meditativa: il gesto non è espressione istintiva, ma atto di conoscenza, un modo per entrare in contatto con la materia e con la propria interiorità.
Scialoja ha contribuito a ridefinire il linguaggio dell’astrazione italiana, dimostrando che l’informale può essere non solo energia, ma anche disciplina poetica del segno.